frammento#194
La serie The course of the empire di Thomas Cole raccoglie cinque dipinti.
Stati Uniti, anni ’30 del 1800. Quadri di grandi dimensioni.
Si ritrae la stessa baia durante le principali fasi della civilizzazione.
Lo stato di natura, il mondo dell’arcadia, lo splendore dell’impero, la caduta e la desolazione.
Disprezzo del potere e una visione ciclica del tempo piuttosto originale per l’epoca.
frammento#162
Mentre nelle cancellerie del Nord Europa si valutavano gli effetti concreti di una probabile uscita dall’Euro della Grecia, nelle strade di Atene scoppiavano violentissimi disordini. Palazzi incendiati, cariche violente e morti portarono visivamente ed emotivamente alla ribalta il tema della crisi irrecuperabile in cui era sprofondato il continente Europeo nella sua accezione neoliberista. Impoverimento, austerity, repressione, debito. Era il 2012.
Quattro anni di crisi economica avevano polverizzato la porta orientale dell’Unione e aperto il sipario su uno scenario di cui tutt’oggi non si vede la fine.
Il brano “Atene” nasce in questo periodo e si muove a partire dalla reazione suscitata da quelle immagini portate in Italia dai media. Tuttavia lo sviluppo del testo è più articolato: “Atene”, infatti, non parla solo e direttamente di politica. Piuttosto parte dalla politica e dalla storia a noi contemporanea per allungarsi nel tema del ricordo, delle speranze tradite (la nostra era e sarà per sempre la generazione di Genova, l’ultima generazione ad aver avuto ragione), del tempo passato. Un tempo – “anni lunghi, anni duri” – trascorso con romantica ostinazione a ricercare una forma di giustizia nell’economia, nella società, nei rapporti personali, nel confronto con la natura e con l’amore. È un brano intimo e corale al tempo stesso dove le considerazioni personali e lo Spirito del Tempo si fondono in un unico affresco che ha il nome della capitale del paese simbolo del periodo in cui ci troviamo.
frammento#160
Il bosco minacciava vendetta.
Scuri e cupi, gli alberi erano mossi dal suo stesso livore
al punto che arrivò a sentirne la rabbia e il giudizio,
da dietro la finestra.
Era passato del tempo. Anni, poi decenni, poi secoli.
Grandi e meravigliosi progetti, sviluppo, progresso.
Fabbriche e cantieri navali, ponti e guerre.
Così come era sorto, l’Impero cadde
tra vite bruciate e foreste abbattute.
Ormai di quella grande epoca in cui si erano amati
non restavano che macerie, pozzi ciechi e città sconfinate.
Tutto era stato utilizzato, piegato, estratto.
Guardò di nuovo verso il Monte, poi chiuse gli occhi stanchi,
deciso a non riaprirli mai più.
Infine, d’improvviso, cadde a terra dolcemente,
come una foglia.
Adam Smith era morto.
frammento#158
Nella lingua dell’impero,
durante le prime fasi della Terza Guerra Mondiale,
la parola “DerWald” significava “la Foresta”.
Era allora il luogo da sempre esistito,
popolato da alberi e animali.
Dallo spirito del Tempo.
La prima vera barriera che fu incontrata
sulla via della fuga dalla Città.
Là, dove gli uomini correvano impazziti
attorno alla ruota della Storia,
spezzata.
Cominciammo – forse ricominciammo – con lo zaino pieno di parole
utili da scambiare con le persone
che avremmo incontrato.
Dopo la parola “volume” fu messo il numero “1”.
Stava là per tracciare un cammino,
come si fa lungo il sentiero che porta verso la montagna.
Come dei partigiani.
Digitali.